Quando mi hanno parlato per la prima volta della Gestalt, ancora non sapevo che avrei fatto il counselor, tantomeno cosa potesse significare per me fare il counselor. Quello però che ho percepito fin da subito analizzando i principi su cui si basa, è che la Gestalt era la filosofia che meglio si adattava al percorso personale e professionale che sentivo di voler intraprendere.

Preferisco definirla filosofia perché per me la Gestalt non è solo una teoria psicologica, ma una lente attraverso cui è possibile ottenere una visione d’insieme, un modo per approcciarsi al mondo e integrarsi in esso. (altro…)

Un’altra storia è possibile.

Credo sia questa frase che mi ha spinta a diventare counselor e coach: mi ha aiutata a dare profondità alla mia professione, anche se preferirei chiamarla vocazione.

Sono partita da una storia, quella che credevo fosse la mia, ma che percepivo non mi rispecchiasse fino in fondo: non ci stavo comoda, mi rendevo conto che la persona che ero a 36 anni non mi rappresentava a pieno, che c’erano delle parti di me ancora nascoste o che conoscevo solo parzialmente e che facevano fatica a palesarsi.

Questi anni di lavoro su me stessa (non posso fare a meno di credere che per arrivare alla scoperta di sé ci sia bisogno di un impegno costante e quotidiano, un vero e proprio lavoro), mi hanno insegnato quanto il dialogo costante con la mia parte più intima mi abbia dato la possibilità di entrare in contatto con un mondo emotivo e con sfumature della vita che prima non potevo nemmeno immaginare. (altro…)