Quanto il nostro atteggiamento ed il modo in cui ci definiamo ci condiziona?

Spesso si rivolgono a me persone con domande molto concrete, generalmente riguardo a situazioni che li fanno stare male o che non sanno come affrontare.

Nella maggior parte dei casi mi raccontano storie personali e i loro rapporti di coppia, con colleghi o familiari, e concludono dicendo “Io sono fatto così!”. Protetti dallo schermo di questa frase inconsciamente si auto-giustificano, restano fermi su loro stessi e non considerano la possibilità di aprirsi verso l’altro, di avvicinarsi alla prospettiva di un cambiamento. Dicendo queste parole in sostanza, senza saperlo, si autolimitano.

È parlando, nel corso delle sedute, e approfondendo ciò che accade e i modi di reagire che ha luogo “la magia”, come qualcuno di loro l’ha chiamata: nel momento in cui ci si riesce a dare la possibilità di essere qualcosa di diverso da quel “così”, provando a cambiare punto di vista rispetto alla stessa questione o sperimentando con me nuove vie possibili, si rendono conto che in realtà quel “sono fatto così” è una barriera, un modo per rimanere in contatto con il rassicurante mondo conosciuto di situazioni, emozioni e sensazioni. La propria zona di confort da cui si fatica a uscire.

“Io sono fatto così” è una di quelle che vengono definite “gabbie mentali”, all’interno delle quali non ci permettiamo di essere altro.

Nel momento in cui riusciamo a riconoscerle e a renderci conto di quanto ci condizionano, solo allora possiamo iniziare a crescere attraverso un processo di cambiamento, e accorgerci di quanto valicare quel confine possa essere arricchente e faciliti i rapporti con gli altri.