C’è stato un momento nella mia vita in cui mi sono resa conto che qualcosa non mi permetteva di essere serena e in pace con me stessa. Così ho deciso di farmi sostenere in un mio percorso di crescita ed evoluzione personale.

Questo è proprio uno dei presupposti per cui rivolgersi ad un professionista della relazione d’aiuto: nasce dal rendersi conto che “qualcosa è cambiato”, qualcosa ( una relazione, un lavoro, una nostra modalità) che ad un certo punto non funziona più e che ci può far sentire un senso di forte insoddisfazione e frustrazione. (altro…)

Stimolata da una cara amica, che mi ha già vista lavorare come supervisor in un altro contesto, e che oggi lavora in una cooperativa sociale, è nato anche questo progetto che ho pensato di condividere.
In questo modo vorrei ripartire anche a raccontarvi di me e del mio lavoro nella mia bussola.
Ho già lavorato in contesti educativi e credo che il sostegno agli operatori/trici sia fondamentale per alleggerire il lavoro che svolgono. Dovendo infatti loro gestire le dinamiche, anche emotive, di altri esseri umani, possono facilmente essere messi/e a dura prova e sotto pressione.
La supervisione di equipe e team è un momento formativo e di crescita personale per coloro che lavorano nei contesti educativi e formativi (educatori, insegnanti, formatori) e, più in generale, per chi lavora con la relazione d’aiuto che pone davanti all’impegno di dover sostenere situazioni talvolta difficili da gestire, sia con i colleghi che con gli utenti.

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Credo, soprattutto in Italia, ci sia ancora molta diffidenza rispetto alla possibilità di rivolgersi ad un professionista in un momento difficile della vita.
Per quanto se ne parli in modo più frequente di un tempo, credo che non sia ancora abbastanza e che ci sia ancora poca chiarezza tra le differenze tra i vari tipi di percorsi che possono essere affrontati con il sostegno di un professionista di quella che viene definita una relazione d’aiuto.

Una distinzione importante e che può essere utile chiarire a chi sente la necessità di un percorso personale o di affrontare alcune criticità che sta vivendo nella propria esistenza. (altro…)

Molti clienti quando si rivolgono a un/una professionista della relazione d’aiuto o a un/una consulente non fanno caso al suo orientamento di riferimento.
Personalmente credo che anche il metodo che si utilizza faccia la differenza e ci aiuti a comprendere con che tipo di professionista ( e a volte di persona) stiamo avendo a che fare.
Spesso non è messo in evidenza, ma ci sono molti modi di svolgere una professione come questa.
Per me l’approccio della Gestalt è un punto di riferimento. Una visione del mondo e una lente di ingrandimento che mi guida in ogni contesto: negli incontri di counseling e di coaching individuale, che in quelli di consulenza con le organizzazioni.

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Un’altra storia è possibile.

Credo sia questa frase che mi ha spinta a diventare counselor e coach: mi ha aiutata a dare profondità alla mia professione, anche se preferirei chiamarla vocazione.

Sono partita da una storia, quella che credevo fosse la mia, ma che percepivo non mi rispecchiasse fino in fondo: non ci stavo comoda, mi rendevo conto che la persona che ero a 36 anni non mi rappresentava a pieno, che c’erano delle parti di me ancora nascoste o che conoscevo solo parzialmente e che facevano fatica a palesarsi.

Questi anni di lavoro su me stessa (non posso fare a meno di credere che per arrivare alla scoperta di sé ci sia bisogno di un impegno costante e quotidiano, un vero e proprio lavoro), mi hanno insegnato quanto il dialogo costante con la mia parte più intima mi abbia dato la possibilità di entrare in contatto con un mondo emotivo e con sfumature della vita che prima non potevo nemmeno immaginare. (altro…)